Avete mai sentito parlare dei tatuaggi dei Razzouk? Probabilmente no, a meno che non siate dei ferventi appassionati del mondo dei tattoo e della body art. Tuttavia, i più esperti di voi ben sapranno che la famiglia dei Razzouk è un nucleo che da settecento anni pratica i tatuaggi nell’area di Gerusalemme, diffondendo – a loro modo – la pace: sia i palestinesi che gli israeliani fanno infatti la fila per farsi tatuare da uno dei simboli viventi della terra santa.
In Italia i nomi dei Razzouk sono divenuti sicuramente più noti grazie a un recente articolo del quotidiano La Repubblica, che ha avuto modo di compiere un interessante approfondimento su un mondo parzialmente misterioso, intervistando Wassim Razzouk, 43 anni, ultimo discendente della famiglia dei Razzouk che, come i suoi predecessori, ha accettato di imparare il mestiere dal padre ma… solo perché ha presto compreso che nessuno dei fratelli avrebbe salvato la tradizione.
E, come il padre, anche il lavoro di Wassim continua bel lontano dagli sfarzi, in una piccola e tradizionale bottega tra le vie di Gerusalemme, dove un proprio antenato arrivò nel 1750 scegliendo di stabilirsi all’interno delle della Città Vecchia.
Come intuibile, i primi tatuaggi furono proprio legati al viaggio dei peregrini. E, dunque, i propri antenati iniziarono a marchiare i corpi dei viaggiatori con delle “prove” che potessero poi essere mostrate al proprio ritorno. Di qui, i tatuaggi con la figurina stilizzata di San Giorgio che uccide il drago, o ancora dell’arcangelo Michele, della Vergine Maria, degli agnelli e delle rose, passando poi per la stella di Betlemme.
Ancora oggi quasi tutti mi chiedono la Croce di Gerusalemme
spiega peraltro Wassim, che di quel tatuaggio ha dunque fatto un vero e proprio punto di riferimento riconosciuto non solo nella propria zona.
L’esplorazione della bottega di Wassim può ben portare in dote la visione dei 168 stampi in legno di ulivo ricevuti dal padre e, a sua volta, dal nonno. Stampi che da secoli passano di generazione in generazione, divenendo un segno di quello che probabilmente è il più antico negozio del mondo, ancora in funzione in questo settore.
Mio nonno è la celebrità della famiglia perché negli anni Trenta tatuò Hailé Selassié in fuga dall’Etiopia dopo la conquista italiana
ha poi precisato Wassim, mostrando al giornalista un frammento con inciso il Leone di Giuda, che per i rastafariani rappresenta l’imperatore, e che per questo motivo viene protetto in una vetrinetta e viene altresì scelto dai pellegrini africani.
Naturalmente, non tutto è rimasto come nelle generazioni precedenti. Per esempio, mentre fino a qualche decennio fa la materia prima per realizzare i tatuaggi era rappresentata dalla fuliggine, oggi Wassim attua una tecnica più moderna, ma non per questo meno affascinante: pigia infatti il timbro sulla carta copiativa prima di appoggiarlo sulla pelle per imprimere il disegno da eseguire, e poi con l’ago procede con il ricalcare le linee che sono state realizzate dal primo Razzouk tatuatore.
Nell’intervista, Wassim ricorda inoltre che poche settimane fa è stato invitato a partecipare, come unico arabo, all’evento organizzato ogni anno da un gruppo di artisti israeliani che pongono il proprio talento e il proprio inchiostro a disposizione delle vittime degli attentati. Capita molto spesso, infatti, che i sopravvissuti vogliano lasciarsi delle cicatrici.
Nel 1948 i miei sono dovuti scappare dalla Città Vecchia e ancora durante la guerra del 1967. Ma non ho nemici. Sono orgoglioso di essere palestinese, soprattutto sono cristiano e amo il mio prossimo. Da copto capisco che cosa significhi subire il terrorismo
ha dichiarato Wassim, nel suo messaggio di pace.
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