In Giappone i tatuaggi sono stati per lungo tempo stigmatizzati per la loro associazione con le bande di criminalità organizzata, che per poter rimarcare la propria fedeltà si tatuano ampie porzioni di corpo.
Proprio per questo motivo in Giappone gli uomini con i tatuaggi non possono entrare in piscine pubbliche, sorgenti termali, spiagge e anche alcune palestre.
Tuttavia, qualcosa sembra star cambiando nel mondo dei tattoo giapponesi, e non è detto che il cambiamento sia in meglio, per lo meno per i tatuatori locali. Ma per quale motivo?
In una sentenza piuttosto controversa, un tribunale di Osaka lo scorso mese ha sostenuto che solo i medici possano effettuare legalmente i tatuaggi. Il che significa che i tatuatori stanno commettendo tecnicamente e teoricamente un crimine ogni volta che prendono la propria pistola del tatuaggio. Una situazione potenzialmente esplosiva, nata nel 2001, quando un comunicato del Ministero della Salute giapponese stabilì che il tatuaggio, unitamente alla depilazione laser, è a tutti gli effetti un lavoro “medico” perché coinvolge alcuni strumenti di “intervento” chirurgico.
Da allora il comunicato ministeriale è più volte stato utilizzato per contrastare gli artisti del tatuaggio, che in realtà affermano che il loro lavoro è una forma di espressione di sé e quindi protetta dalla costituzione del Giappone.
Insomma, mentre il Giappone si sta preparando a ricevere 40 milioni di visitatori annui da qui alla scadenza delle Olimpiadi 2020, bisogna già domandarsi: quanti stranieri si rendono conto che avere un tatuaggio potrebbe influenzare negativamente il loro viaggio?
Uno straniero con tatuaggi potrebbe infatti vedersi rifiutato l’ingresso in alcune zone cittadine, come le piscine pubbliche, in applicazione di una regola che originariamente era volta a impedire alle persone coinvolte nella criminalità organizzata di poter intimidire gli altri mostrando i loro tatuaggi. Insomma, piuttosto che esplicitamente vietare la Yakuza, era più facile rifiutare chiunque avesse dei tatuaggi.
Si tenga però conto che generalmente tra i giapponesi una simile rigidità non sembra aver scatenato specifiche proteste, anzi: i tattoo non sono generalmente accettati nella società nipponica, e molti continuano a vederli di cattivo, cattivissimo occhio.
Il Giappone ha un lungo e travagliato rapporto con i tatuaggi. Nel 17 ° secolo, i criminali erano marchiati con i tatuaggi come forma di punizione, avvertendo così chi incontrava i criminali della loro illegalità. Successivamente, nel XIX secolo, si è imposto un divieto assoluto di applicazione di inchiostro sul corpo che è durato fino al 1948 quando le forze americane, durante l’occupazione statunitense, rimossero il divieto.
Ora, con il nuovo intervento, alcuni temono che il Paese possa sperimentare un secondo divieto di tatuaggio. Il tutto, con un pizzico di ironia: oggi il Giappone ospita infatti alcuni artisti del tatuaggio tra i più desiderati al mondo.
Il tema è dunque molto dibattuto. Il rischio che molti osservatori sottolineano è che una simile sentenza possa alimentare un mercato “nero” dei tatuatori, andando così a pregiudicare ulteriormente il livello di igiene, di salute e di sicurezza del settore. Il rischio è altresì che i tatuatori, in particolare quelli con famiglie a carico, possano abbandonare la professione per poter evitare di andare incontro a sanzioni o detenzione. Meglio forse procedere con l’offerta di un sistema di licenze chiaro per gli artisti del tatuaggio, che permetterebbe all’industria dei tattoo di uscire dalle ombre.
E voi che cosa ne pensate? Non ritenete che i tatuatori giapponesi siano bravissimi e che forse meriterebbero un inquadramento normativo che possa permetter loro di uscire da questa difficile situazione?
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